Al di là del bene e del... Lettura di 4 minuti

Comando e obbedienza

Poiché in ogni tempo, da quando esistono uomini, vi sono stati anche greggi umani (gruppi familiari, comunità, stirpi, popoli, Stati, Chiese) e sempre è esistito un numero grandissimo di obbedienti in confronto dei pochi che hanno il comando, poiché dunque gli uomini hanno meglio e più a lungo esercitato l'obbedienza, si può dunque presumere a buon diritto che oggi in media è in ognuno per così dire innato il bisogno dell'obbedienza, quasi una specie di coscienza formale che comanda: «Tu devi assolutamente fare la tal cosa, astenerti assolutamente dall'altra, insomma "tu devi"».

Questo bisogno richiede d'esser soddisfatto e di rimepir la sua forma con un contenuto. Per giungere a ciò esso prende dal piatto, senza troppa scelta, a misura della sua forza e della sua impazienza, come chi provi un appetito grossolano, e accetta tutto quanto gli vien gridato negli orecchi da uno di coloro che comandano, genitori, maestri, leggi, autorità, opinione pubblica.

La strana limitatezza dello sviluppo umano, l'esistazione, la monotonia, i ritorni, i cerchi intorno a se stesso derivano dal fatto che l'istinto gregale dell'obbedienza è stato il più ampiamente trasmesso per eredità e a spese dell'arte del comando. S'immagini che un tale istinto progredisca fino ai suoi estremi eccessi, e allora verrebbero meno tutti gli uomini capaci di comandare e tutti gli uomini indipendenti, oppure costoro non si sentirebbero la coscienza tranquilla e avrebbero bisogno per comandare di crearsi innanzi tutto un'illusione riguardo a loro stessi: e cioè d'immaginarsi che anche loro obbediscano. Questa è la condizione oggi esistente in Europa: io la chiamo l'ipocrisia morale dei capi. Essi non sanno difendersi dalla loro cattiva coscienza se non atteggiandosi ad esecutori di antichi o di superiori comandi (degli antenati, della Costituzione, del diritto, delle leggi o magari di Dio) o prendendo a prestito le loro massime dal modo di pensare del gregge come ad esempio: «primo servitore del suo popolo» oppure «strumento del bene comune». D'altra parte l'uomo del gregge oggi si dà l'aria d'essere l'unica specie d'uomo che sia permessa e egli esalta come vere qualità umane quelle che lo rendono docile, vale a dire senso comune, benevolenza, modestia, deferenza, diligenza, moderazione, indulgenza, pietà. Per i casi in cui poi si crede di on poter fare a meno d'un capo e del montone guida del branco, oggi si fanno tentativi su tentativi per sostituire i veri capi sommando insieme un certo numero di uomini assennati del branco: e questa è per esempio l'origine di tutte le Costituzioni rappresentative. L'apparizione di Napoleone è la miglior riprova di quale beneficio, di quale liberazione da un'oppressione divenuta insopportabile sia stata, nonostante tutto, per questo gregge europeo la comparsa d'un dominatore sciolto da ogni vincolo; la storia dell'influenza di Napoleone è per così dire la storia della più alta felicità raggiunta dal nostro secolo coi suoi uomini più notevoli e i suoi momenti più preziosi.


Friedrich Nietzsche, Al di là del bene e del male (1886). Osservazioni sulla storia naturale della morale — paragrafo 199.

Simone Sala