Il bello nell'arte Lettura di 7 minuti

Cultura Greca

Il buon gusto che si va sempre piú diffondendo nel mondo ebbe origine sotto il cielo greco. Le invenzioni dei popoli stranieri non pervennero nella Grecia se non come un primo seme, e presero nuova natura e nuova forma in questo paese «che si dice Minerva assegnasse come dimora ai Greci, a preferenza d’ogni altro, per le miti stagioni che vi trovò, visto che esso avrebbe potuto produrre menti intelligenti».

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I conoscitori e gli imitatori delle opere greche trovano in questi capolavori non solo il piú bell’aspetto della natura, ma anche piú della natura, cioè certe bellezze ideali di essa, che, come insegna un antico commentatore di Platone, sono composte di figure create soltanto nell’intelletto.

Forse il piú bel corpo dei nostri tempi non avrebbe col piú bel corpo greco maggiore somiglianza di quella che Ificle aveva col fratello Ercole. L’influenza d’un cielo mite e puro agí sulla primitiva costituzione dei Greci; la nobile forma fu data però ad essa da esercizi ginnastici tempestivamente incominciati. Prendiamo un giovane spartano nato dall’unione di un eroe e di una eroina, che mai nella sua infanzia sia stato imprigionato nelle fasce, che fin dal suo settimo anno abbia dormito sulla nuda terra e sia stato esercitato alla lotta e al nuoto, e confrontiamolo con un giovane sibarita dei nostri tempi, e poi giudichiamo quale dei due l’artista sceglierebbe come modello di un giovane Tèseo, di un Achille e anche di un Bacco. Il sibarita ispirerebbe un Tèseo allevato con le rose, lo Spartano un Tèseo allevato con la carne, per dirla come un pittore greco che cosí giudicava di due diverse immagini di questo eroe.

Per i giovani greci i grandi ludi erano un efficacissimo sprone alle esercitazioni ginnastiche, e, per i giochi Olimpici, le leggi esigevano una preparazione di dieci mesi da compiersi nell’Elide e nel luogo stesso dove essi venivano celebrati. I premi maggiori non erano sempre riportati da adulti, ma per lo piú da giovani, come lo dimostra Pindaro nelle sue Odi. Emulare il divino Diàgora era il piú grande desiderio della gioventú.

Osservate il pellerossa che veloce, in corsa, insegue un cervo: il suo sangue è fluido, pieghevoli e agili si sviluppano i suoi nervi e i suoi muscoli, e tutta la struttura del suo corpo è di grande leggerezza. Cosí Omero crea i suoi eroi e caratterizza Achille con la velocità dei suoi piedi.

I corpi acquistavano con questi esercizi quel grande e maschio contorno che i maestri greci avevano dato alle loro statue, contorno senza mollezze e pinguedine. Ogni dieci giorni i giovani spartani dovevano mostrarsi nudi agli Efori, e questi infliggevano una piú rigorosa dieta a quelli di essi che incominciavano a ingrassare. Persino una delle leggi di Pitagora ingiungeva di guardarsi da ogni grasso superfluo del corpo. Forse era questo il motivo per cui, nei tempi piú antichi, i giovani prescelti per la lotta dovevano nutrirsi durante il periodo di allenamento soltanto con cibi di latte.

Con cura si evitava ogni scorrettezza del corpo, e poiché Alcibiade nella sua giovinezza non volle imparare a suonare il flauto, perché gli avrebbe sfigurato il volto, i giovani Ateniesi seguirono il suo esempio. Anche le vesti dei Greci erano disposte in maniera da non fare la minima violenza alla forma naturale. Lo sviluppo della bella forma non soffriva sotto la costrizione del nostro stretto e oppressivo vestire, e specialmente al collo, ai fianchi e alle cosce. Nemmeno il bel sesso conosceva, tra i Greci, le tormentose esigenze della moda; le giovani spartane portavano vesti cosí corte e cosí leggere da essere chiamate «mostratrici di fianchi».

È anche noto con quanta cura i Greci cercassero di procreare figli belli. Quillet, nella sua Callipedia, nonaccenna a tanti mezzi, quanti essi usarono per riuscirvi; tentavano perfino di far diventare neri gli occhi azzurri. Per incoraggiare tali tendenze furono istituite gare di bellezza che si facevano nell’Elide; i premi consistevano in armi che venivano deposte nel tempio di Minerva. Giudici esperti e saggi non potevano mancare a questi giochi, poiché i Greci, come c’informa Aristotele, insegnavano il disegno ai loro figli, principalmente perché credevano che cosí essi sarebbero divenuti piú abili nell’osservare e nel giudicare la bellezza dei corpi.

Il bel sangue degli abitanti della maggior parte delle isole greche, sebbene misto a tanto altro sangue, e le squisite attrattive del bel sesso in quelle regioni, particolarmente nell’isola di Scio, permette di affermare con fondamento che erano belli i loro antenati d’ambo i sessi, i quali si gloriavano non solo d’essere la stirpe originaria, ma anche di essere piú antichi della luna. [...] Le malattie che distruggono tanta beltà e rovinano le forme piú nobili erano ancora sconosciute ai Greci. Negli scritti dei loro medici non si trova alcun indizio del vaiolo e in nessun ritratto greco a noi noto, e Omero spesso ne presenta minutissimi nei particolari, si riscontrano segni o buchi come quelli che lo caratterizzano.

Le malattie veneree e la figlia di queste, il rachitismo, non infuriavano ancora contro la bella natura dei Greci. D’altronde, tutto ciò che dalla nascita allo sviluppo fisico compiuto aveva servito da ispirazione e da insegnamento della natura e dell’arte alla formazione dei corpi, come alla conservazione, al perfezionamento e all’ornamento di tale formazione, fu posto in opera dagli antichi Greci a vantaggio della loro bella natura, e pertanto è di grandissima verosimiglianza l’opinione che, al confronto dei nostri, i loro corpi avessero il privilegio della bellezza.

Ma le piú belle creature della natura si sarebbero rivelate solo in parte e imperfettamente all’artista in un paese in cui, come nell’Egitto, la pretesa culla delle arti e delle scienze, la natura fosse stata impedita in molte delle sue manifestazioni da leggi rigorose. In Grecia dove si ricercava la gioia e il piacere fin dalla giovinezza, dove un certo benessere borghese simile al nostro mai opponeva ostacolo alla libertà dei costumi, la bella natura, a grande insegnamento degli artisti, si mostrava senza velo.

La scuola degli artisti era nei ginnasi dove la gioventú, senza offendere la pubblica verecondia, faceva completamente nuda la ginnastica.


Johann Joachim Winckelmann, Il bello nell'arte (1755). Il bello nell'arte.

Simone Sala