Iliade Lettura di 4 minuti

La morte di Euforbo

Non sfuggì al figlio di Atreo, a Menelao caro ad Ares, che Patroclo era stato abbattuto dai Teucri in battaglia. Si fece avanti nelle prime file, rivestito di bronzo lucente, e gli si mise accanto, come accanto al vitello la madre tremante, che per la prima volta ha figliato, che nulla sapeva del parto. Così il biondo Menelao si mise accanto a Patroclo: puntava in avanti la lancia e lo scudo rotondo, pronto a uccidere chi gli venisse di fronte. Ma neppure Euforbo dalla forte lancia, figlio di Pantoo, trascurò il nobile Patroclo morto; gli andò vicino e disse a Menelao caro ad Ares:

«Figlio di Atreo, Menelao divino, condottiero di eserciti, fatti indietro, lascia il cadavere, abbandona le spoglie insanguinate; nessuno dei Teucri, nessuno degli alleati famosi ha colpito Patroclo prima di me con la sua lancia nella battaglia violenta; lascia che io fra i Troiani raccolga questo trionfo, se non vuoi che ti colpisca e ti privi della vita dolcissima».

Gli rispose allora il biondo Menelao, furente:

«Per Zeus, non è bene vantarsi oltre misura. Non vi è certo pantera o leone o cinghiale feroce — questi è più degli altri orgogliosa della sua forza nel cuore — che abbia tanto coraggio quanto il figlio di Pantoo dalla lancia gloriosa. E tuttavia nemmeno il forte Iperenore, domatore di cavalli, ha potuto godere della sua giovinezza dopo che mi affrontò e insultandomi disse che fra i Danai io ero il guerriero peggiore; non è più tornato a casa con le sue gambe per la gioia della sua sposa e dei nobili genitori. Anche la tua forza spezzerò, se mi vieni di fronte. Perciò ti dico: indietro, torna fra gli altri, non venirmi davanti che non ti capiti qualche malanno; anche uno sciocco impara dai fatti».

Così parlò, ma non persuase il figlio di Pantoo che a sua volta gli disse:

«Adesso, Menelao divino, adesso pagherai per la morte di mio fratello; l'hai ucciso, e te ne vanti, tu che hai fatto della sua sposa una vedova nel talamo nuovo, e ai genitori hai inflitto un dolore, un lutto funesto; ma al pinato di questi infelici metterò fine se deporrò la tua testa e le tue armi nelle mani di Pantoo e della divina Frontide. Ma non rimandiamo più a lungo il duello: battiamoci, per la vita o per la morte».

Disse così, e colpì Menelao nello scudo rotondo; ma la lancia di bronzo non lo squarciò, si piegò la punta contro la solida piastra. Il figlio di Atreo si lanciò a sua volta con l'asta in pugno, invocando Zeus padre; e mentre Euforbo indietreggiava lo colpì alla gola e spinse con tutto il peso del braccio; da parte la punta passò il collo delicato. Cadde con fragore l'eroe, risuonarono le armi su di lui; si bagnarono di sangue i capelli, simili a quelli delle Grazie, i riccioli intrecciati d'oro e d'argento.

Come quando, in un luogo solitario dove l'acqua scorre abbondante, un uomo cresce una pianta d'olivo fiorente, bella, vigorosa, coperta di fiori bianchi, che si muove al soffio dei venti; ma all'improvviso una tempesta la sradica da terra e l'abbatte al suolo; così Menelao figlio di Atreo ucciso il figlio di Pantoo, Euforbo dalla forte lancia, e lo spogliò delle armi.

Come quando un leone dei monti, superbo della sua forza, da una mandria che pascola rapisce la mucca più bella; e prima le spezza il collo afferrandola con i denti robusti, poi la sbrana e ne divora le viscere insanguinate; intorno a lui abbaiano i cani, gridano i pastori da lontano e non osano farsi avanti, il livido terrore li coglie; così fra i Troiani nessuno aveva il coraggio di affrontare Menelao glorioso.


Omero, Iliade (750 a.C.). Libro XVII — La lotta per Patroclo.

Simone Sala