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Vita di Alcibiade

Forse non è il caso di dilungarsi sulla sua bellezza fisica, se non per dire che fu fiorente in ogni età della vita, e lo rese amabile e fascinoso da ragazzo, da giovane, da uomo. Non è vero quel che diceva Euripide, e cioé che di tutti i belli bella è anche l’età matura; certo però Alcibiade ebbe questa fortuna con altri pochi, per la buona disposizione naturale e la prestanza fisica.

Il suo carattere, come è naturale per chi compie grandi imprese e ha varie vicissitudini, diede a vedere in seguito molta instabilità e parecchi mutamenti; ma delle passioni naturali che erano in lui molte e impetuose, la più forte rimase l’ambizione e la brama di essere primo, come appare da quanto si ricorda della sua fanciullezza. Pressato un giorno nella lotta, per non cadere, avvicinò alla bocca il braccio dell’avversario, e stava per morderlo; e quello allora lasciò la presa dicendo: «Alcibiade, tu mordi come le donne!»; «No! — disse —; come i leoni!».

Quando poi andò a scuola, seguiva con attenzione tutti i maestri, ma rifiutava di suonare il flauto dicendo che era un’attività ignobile e illiberale; sosteneva infatti che l’uso del plettro e della lira non comportava atteggiamenti o figure che non si addicessero ad un uomo libero, mentre quando un uomo suona il flauto, persino i familiari durerebbero fatica a riconoscerne il volto. Inoltre, chi suona la lira nello stesso momento suona e canta, mentre il flauto ostruisce la bocca occupandola, e toglie voce e parola. «Suonino dunque il flauto — diceva — i ragazzi tebani, che non sanno parlare; noi Ateniesi, come ci dicono i nostri padri, abbiamo Atena come fondatrice e Apollo come iniziatore della razza; di essi la prima buttò via il flauto, l’altro addirittura scorticò il flautista». E così, un poco scherzando, un poco facendo sul serio, non si curò di questa disciplina, e ne distolse anche gli altri. Presto si diffuse tra i ragazzi la voce che Alcibiade giustamente rifuggiva dal suonare il flauto e scherniva chi lo faceva, e in tal modo il suono di questo strumento fu escluso dagli studi liberali e decadde del tutto.

Nel vedere che a simile attività politica e oratoria, condotta con abilità e intelligenza, si accompagnava anche una grande mollezza di vita, un trasmodare di banchetti e di lussuria (passando per la piazza indossava raffinati vestiti di porpora con strascico, e ostentava un fasto insolente, e sulle triremi tagliava un pezzo di ponte per dormire più comodamente, e stendeva le coperte su cinghie e non su tavole, e sul suo scudo d’oro non c’era nessun emblema tradizionale, ma un Amore armato di fulmine) i cittadini più illustri non solo erano disgustati e seccati, ma anche temevano la sua disinvoltura e il suo disprezzo delle norme come qualcosa di tirannico e di bizzarro, mentre Aristofane, ben descrivendo l’atteggiamento del popolo nei suoi riguardi, ha scritto:

«Lo ama, lo odia, ma vuole averlo».

e ancora più colpisce nel segno con questa allusione:

«in primo luogo non allevare un leone in città; se però lo allevi, devi condiscendere al suo carattere».

Una volta Timone, il misantropo, incontrato Alcibiade che si allontanava dall’assemblea con una brillante compagnia dopo aver riportato un grande successo, non lo evitò né cambiò strada come faceva con tutti, ma gli andò incontro gli strinse la mano e gli disse:

«Fai bene a crescere, ragazzo; crescerà infatti un gran male per tutti costoro».

Alcuni risero, alcuni insultarono Timone; questa frase comunque colpì parecchi. Tanto varia era l’opinione che di lui si aveva per la stranezza anomala della sua indole.

Egli era ammirato e celebrato nell’attività politica, ma non lo era meno in privato, giacché con il suo modo di vivere alla spartana attirava l’attenzione della gente su di sé e affascinava tutti; quando lo vedevano radersi totalmente, lavarsi con acqua fredda, mangiare brodo nero e pane d’orzo, non credevano ai loro occhi, e si chiedevano se egli aveva mai avuto un cuoco in casa, o se aveva mai visto un barbiere, o se aveva mai tollerato di toccare un tessuto di Mileto. Infatti, come dicono, era questa una sua abilità tra le molte, e un artificio per guadagnarsi la simpatia degli altri, e cioὲ uniformarsi ai loro comportamenti e modi di vivere, con un trasformismo più pronto di quello del camaleonte. Ma, a quanto si dice, il camaleonte non è in grado di assumere il colore bianco, mentre Alcibiade passava con disinvoltura dal male al bene, non aveva nulla che non potesse imitare, o di cui non potesse interessarsi: a Sparta era atleta, frugale, serio; in Ionia era molle, gaudente, pigro; in Tracia si ubriacava e andava a cavallo; quando stava con il satrapo Tissaferne superava in fasto e magnificenza la magnificenza persiana.

Non si sa quale idea egli avesse della tirannide; ma i cittadini più potenti, per paura, si diedero da fare perché al più presto egli lasciasse la città, e perciò gli concessero anche i colleghi che egli voleva.

Se mai uno fu rovinato dalla sua fama, sembra proprio che questo sia stato Alcibiade. Considerati i suoi successi, egli aveva fama di essere audace e intelligente, e quando non riusciva in qualche impresa si sospettava che non si fosse impegnato, perché non si credeva che non potesse riuscire: pensavano infatti che, se si fosse dato da fare, nulla gli sarebbe sfuggito.


Plutarco, Vita di Alcibiade (100 a.C.). .

Simone Sala