Sulla volontà nella Nat... Lettura di 12 minuti

Volontà e organismo

Il tratto fondamentale della mia dottrina, che la mette in contrasto con tutte quante vi sono state prima, è la totale separazione della volontà dalla conoscenza, entrambe le quali tutti i filosofi che mi hanno preceduto hanno considerato inseparabili, anzi hanno considerato la volontà come condizionata dalla conoscenza, che sarebbe il sostrato fondamentale della nostra essenza spirituale, e addirittura, per lo più, come una mera funzione di essa. Quella separazione, quella scomposizione dell’Io o dell’anima, rimasti per tanto tempo indivisibili, in due parti costitutive eterogenee, è per la filosofia ciò che la scomposizione dell’acqua è stato per la chimica, anche se questo sarà riconosciuto soltanto tardi. Per me ciò che nell’uomo è eterno e indistruttibile, che quindi costituisce in lui anche il principio vitale, non è l’anima, ma, se mi posso permettere un’espressione chimica, il radicale dell’anima, e questo è la volontà. La cosiddetta anima è già un composto: essa è il collegamento della volontà con il νοῦς, l’intelletto. Questo intelletto è secondario, è il posterius dell’organismo e una mera funzione cerebrale, da esso condizionata. La volontà è invece primaria, è il prius dell’organismo, e questo è condizionato da quello. Giacché la volontà è quell’essenza in sé che solo nella rappresentazione (quella mera funzione cerebrale) si presenta come un tale corpo organico. Soltanto per mezzo delle forme della conoscenza (o funzione cerebrale), dunque solo nella rappresentazione, il corpo di ogni individuo gli è dato come qualcosa di esteso, articolato, organico, non al di fuori della rappresentazione, non immediatamente nell’autocoscienza. Come le azioni del corpo sono solo i singoli atti della volontà che si rispecchiano nella rappresentazione, così pure il loro sostrato, la forma di questo corpo, è la sua immagine complessiva; perciò, in tutte le funzioni organiche del corpo altrettanto che nelle sue azioni esterne, la volontà è l’agens. La vera fisiologia, al suo più alto livello, mostra che ciò che nell’uomo è spirituale (la conoscenza) è un prodotto del suo fisico, e ciò ha fatto, come nessun altro, Cabanis; ma la vera metafisica ci insegna che questo stesso fisico è mero prodotto, o piuttosto fenomeno di un che di spirituale (la volontà), anzi che la materia stessa è condizionata dalla rappresentazione, nella quale soltanto esiste. L’intuizione e il pensiero vengono sempre più spiegati in base all’organismo, ma non il volere, bensì al contrario in base a questo è spiegato l’organismo, come dimostro sotto la seguente rubrica. Io pongo dunque in primo luogo la volontà, come cosa in sé, completamente originaria; in secondo luogo la sua semplice visibilità, oggettivazione, il corpo; e in terzo luogo la conoscenza, come semplice funzione di una parte di questo corpo. Questa parte stessa è il voler conoscere oggettivato (diventato rappresentazione), in quanto la volontà ha bisogno, per i suoi scopi, della conoscenza. Ma poi questa funzione condiziona a sua volta tutto il mondo come rappresentazione, quindi anche il corpo stesso in quanto è oggetto intuitivo, anzi la materia in genere, che si trova solo nella rappresentazione. Giacché un mondo oggettivo, senza un soggetto nella cui coscienza sussista, è a ben riflettere qualcosa di assolutamente impensabile. La conoscenza e la materia (soggetto e oggetto) esistono solo relativamente l’una per l’altra e costituiscono il fenomeno. Pertanto, in conseguenza della mia modificazione fondamentale, la cosa sta così come non è mai stata.

Quando essa tende all’esterno, opera verso l’esterno, diretta a un oggetto conosciuto, e con ciò è passata attraverso il medium della conoscenza, – allora tutti riconoscono come qui attiva la volontà, e allora anche essa riceve il suo nome. Ma non è meno essa a essere attiva nei processi interni, che come condizione precedono quelle azioni esterne e creano e mantengono la vita organica e il suo substrato; e anche la circolazione del sangue, la secrezione e la digestione sono opera sua. Ma appunto perché la si riconosceva soltanto là dove essa, abbandonando l’individuo, da cui scaturisce, si rivolge al mondo esterno, che ormai proprio a questo fine si presenta come intuizione, si è ritenuta la conoscenza sua condizione essenziale, suo unico elemento, anzi addirittura il sostrato in cui essa consiste, commettendo così il più grande inversione di premessa e conseguenza che ci sia mai stato.

Prima di ogni altra cosa bisogna però saper distinguere volontà da arbitrio e vedere che quella può sussistere senza questo, ciò che veramente tutta la mia filosofia presuppone. La volontà si chiama arbitrio là dove la conoscenza lo illumina e quindi le cause che la muovono sono motivi, cioè rappresentazioni. Così essa si chiama, oggettivamente parlando, dove l’azione dall’esterno, che causa l’atto, è mediata da un cervello. Il motivo può essere definito come uno stimolo esterno, per effetto del quale anzitutto sorge un’immagine nel cervello, per la cui mediazione la volontà compie il vero e proprio effetto, un’azione corporea esterna. Ora però nella specie umana un concetto che si è formato da precedenti immagini di questo genere, lasciando cadere le loro differenze, e che conseguentemente non è più intuitivo ma viene solo designato e fissato con parole, può tenere il posto di quell’immagine. Poiché quindi l’azione dei motivi in genere non è legata al contatto, essi possono misurare gli uni rispetto agli altri la loro forza operativa sulla volontà, cioè permettono una certa scelta. Questa nell’animale è limitata alla stretta cerchia visiva di ciò che gli sta intuitivamente davanti; nell’uomo invece essa ha per campo di gioco l’ampia cerchia di ciò che per lui è pensabile, dunque dei suoi concetti. Quindi l’uomo indica come atti volontari quei movimenti che non seguono, come quelli dei corpi inorganici, da cause, nel senso più stretto del termine, e neanche da meri stimoli, come quelli delle piante, bensì da motivi. Ma questi presuppongono la conoscenza, che è il medium dei motivi, attraverso i quali la causalità qui si esplica, senza però pregiudizio di tutto il resto della sua necessità. Fisiologicamente la differenza tra stimolo e motivo si può anche designare così: lo stimolo provoca la reazione immediatamente, provenendo questa dalla stessa parte su cui lo stimolo ha agito; il motivo invece è uno stimolo che deve fare il giro attraverso il cervello, dove, per effetto di esso, sorge anzitutto un’immagine e poi questa soltanto provoca la reazione conseguente, che viene chiamata adesso volizione e atto volontario. La differenza tra movimenti volontari e movimenti involontari riguarda perciò non ciò che è essenziale e primario, e che in entrambi è la volontà, ma solo ciò che è secondario, la provocazione della manifestazione di volontà, a seconda cioè che questo avvenga lungo il filo conduttore delle cause vere e proprie, o degli stimoli, o dei motivi, vale a dire delle cause passate attraverso la conoscenza. Nella coscienza umana, che si distingue da quella animale per il fatto di contenere non soltanto rappresentazioni intuitive, ma anche concetti astratti, i quali, indipendenti da differenze di tempo, operano contemporaneamente e gli uni accanto agli altri, donde è divenuto possibile il conflitto dei motivi, noi abbiamo l’arbitrio nel senso più stretto del termine, che io ho chiamato decisione della scelta, consistente tuttavia solo in ciò, che il motivo più potente per il dato carattere individuale supera gli altri e determina l’azione, come una spinta viene sopraffatta da una controspinta più forte; nel qual caso dunque l’esito si produce sempre ancora con la stessa necessità del movimento della pietra lanciata. Su di ciò tutti i grandi pensatori di tutti i tempi sono decisamente d’accordo, altrettanto certamente di come la massa non comprenderà mai, non afferrerà mai la grande verità che l’opera della nostra libertà non è da cercare nelle singole azioni, bensì nella nostra stessa esistenza ed essenza. Io l’ho esposta nel modo più chiaro nel mio scritto premiato Sulla libertà del volere.


Arthur Schopenhauer, Sulla volontà nella Natura (1836). .

Simone Sala