Romanzo1967

Neve di primavera

«Sono rimasto solo. La sete della passione. La maledizione del destino. L'infinito vagabondare del cuore. Desideri senza prospettive... Piccoli inebriamenti dei sensi. Piccole menzogne dette a me stesso... Il rimpianto per il tempo e per le cose perdute che brucia come il fuoco. L'inutile scorrere degli anni. I lunghi e vergognosi ozi della giovinezza. L'indigniazione per non aver prodotto nulla nella vita. Una stanza solo per me. Le notti da solo... La disperata lontananza dal mondo e dagli uomini... Le urla. Le grida che nessuno ode... Lo splendore delle apparenze... Il vuoto della nobiltà... Questo sono io!».

Così Kiyoaki Matsugae negli attimi di ultima lucidità parla a sé, tentando di venir a capo delle mille facce di un'esistenza in continuo conflitto tra le diverse geometrie della vita, dove la contemplazione interiore folle e incoerente si unisce alla passionalità dell'amore, incastrandosi l'una nell'altra, sempre con diverse frizioni, formando così il corpo centrale e l'alveo nel cui grembo giace il flusso delicato del romanzo, e al tempo stesso colmo del vigore della gioventù. È possibile che per Kiyoaki il tentativo di cercare la serenità che viene col non desiderare alcuna soluzione quando la questione è insolubile — esserne al di sopra con nobiltà — sveli in quell'istante la vera identità che mai prima di allora era riuscita a emergere dalle caverne del suo cuore: per la prima volta, nelle ultime pagine, Kiyoaki tradisce il suo distacco dal mondo confessandosi, e così facendo tutto il suo vivere viene rovesciato. E il velo di nubi disteso sopra di lui, la sua unica protezione dalla brutalità del mondo, si lacera fatalmente, proprio come la sua carne già indebolita dalle sofferenze d'amore viene sopraffatta.

Kiyoaki è il giovane dall'interiorità ipertrofica, colui che subisce l'influenza della notte e vive trasportato dalla seducente corrente lunare; è il tipo umano a cui si sente di appartenere anche il giovane Mishima, ritratto in Sole e acciaio: se le sue mani aggraziate non erano mai state sporcate, se non avevano mai conosciuto una vescica, se era stato protetto dalla terra, dal sangue, dal sudore e dalla sporcizia, se mai avesse avuto il privilegio di conoscere l'affanno di un corpo — il proprio — avrebbe scoperto tutto col tempo, nonostante il resistere serrando i denti, anche attraverso la negazione della realtà, nella passione per Satoko, il soggetto del suo amore trascendente. L'impeto di questa passione lo porterà a volgere i suoi vergini occhi verso l'esterno, spingendo al di là del recinto uno spirito torturato e recluso nei brulli e monotoni confini della propria vita, in . La grande violenza che si abbatterà su di lui è proporzionale alla sua ingenuità di vita, obbligato a considerare, anche se solo di sfuggita, la vita che prolifera là fuori. Nel corso del romanzo l'interiorità di Kiyoaki sembra voler essere dipinta come l'unica con un potenziale trascendente — delicata e sensibile, seria e vivace in grado eccezionale, potrebbe anche forse essere più ricca dell’interiorità dei molti, ma nel complesso rimane troppo fragile e emaciata per potersi tendere verso qualcosa di maggiore: l'albero che essa vuole far crescere in verticale ha scordato le radici! E quella minuscola profondità intuibile nella sua «bellezza» esteriore non è il risultato complessivo del processo, ma è solo il patetico tentativo che lo vede nell'affanno di chi vuol fondare una città dimenticandone le fondamenta. In un tal senso, Kiyoaki è analogo a Rodiòn di Delitto e castigo: in entrambi il mondo è sommerso da maree interne di laghi salati, e i loro occhi non sono più in grado di funzionare sotto l'acqua delle tempeste dei sentimenti. Nel gran frastuono creato si rivela la qualità più propria a questo tipo di uomo, il peculiare contrasto di un interno fatto di gelatina a cui natura non ha donato un carapace duro da crostaceo, ma neanche l'istinto adatto a cacciarsene uno, come è volontà di certi paguri. Sono le condizioni perfette per trovarsi in imbarazzo di fronte al più brutale predatore che il mondo conosca: la vita — e la donna, sua emissaria; è il tipo di contrasto che l'uomo forte, colui che si appropria del proprio destino, e della propria donna, non conosce.


Benché nel suo ragionamento si fosse mantenuto su un piano puramente astratto, in quella limpida mattinata di neve che fondeva al sole i suoi occhi contemplavano pur sempre il volto risplendente di bellezza di Kiyoaki. Senza dubbio, trovandosi di fronte quel giovane a tal punto sprovvisto di nerbo e di carattere, incapace di essere fedele ad altro che all’incostanza dei propri sentimenti, con il suo discorso Honda ne aveva involontariamente tracciato un ritratto: tanto era vero che il “limitarsi a funzionare come una rilucente, eternamente immutabile, magnifica particella priva di volontà” descriveva alla perfezione il modo di vivere dell’amico.

Solo in quel momento Honda avvertì un’inquietante eco profetica nelle parole pronunciate tanti anni prima nel cortile della scuola. Poiché lui stesso, che aveva sostenuto con tale convinzione il fallimento della volontà del singolo nel tentativo di intervenire nella storia, aveva finito per rendersi conto che la sua utilità risiedeva per l’appunto nelle sue ambizioni deluse e frustrate. Al punto in cui era arrivato oggi, ancora una volta non poteva che invidiare l’assenza di volontà di Kiyoaki, il quale era scomparso senza lasciare traccia di sé nei diciannove anni trascorsi, ed era anzi costretto a riconoscere che l’amico, la cui figura era stata interamenterimossa dalla storia, aveva posseduto una qualità essenziale che gli permetteva di prendervi parte in misura superiore alla sua. Kiyoaki aveva avuto in dote la bellezza. Inutile e priva di qualsiasi scopo, la sua esistenza era trascorsa fugacemente su questa terra. La sua bellezza era stata rigorosamente limitata a un momento unico e irripetibile, come l’istante evocato poco prima dagli attori nel canto d’esordio: “La ruota del carro del sale gira senza sosta in questo mondo fluttuante. Oh, quanto breve ed effimera è la nostra vita!”. Da quella bellezza effimera come la spuma sulla cresta dell’onda e che andava a poco a poco svanendo vide affiorare il volto di un altro giovane, dall’espressione fiera e dallo sguardo penetrante. In Kiyoaki l’unica qualità irripetibile, nel vero senso della parola, era la bellezza. Tutto il resto aveva senza dubbio necessità di tornare a vivere, anelava alla reincarnazione. Tutto quello che in Kiyoaki non era stato portato a compimento, tutte le doti che l’amico aveva ricevuto in dono, cariche però delle sole valenze negative...

Il sentimento che Kiyoaki alberga, sereno e inconsapevole, e a cui dà nutrimento per tutta la vita, qualcosa che va oltre ogni sua immaginazione, rimane latente in un mondo interno caotico in cui è l'infinita superbia che tira i fili del suo essere a trarlo in inganno portandolo a idealizzare questo fluttuare sconclusionato nel miele viscoso di ciò che non è esterno come «interiorità». Ma questo suo sentimento diventa degno di tale valore solo in fondo, prima del sospiro finale, avendo prima di allora sempre vissuto come parodia di se stesso. Come può prendere il nome di interiorità, devota e in fermento, vitale e volenterosa, qualcosa che non si rivela in grado di trasformare e spingere verso l’esterno, verso la conquista del proprio desiderio? Questa atroce contraddizione così insita nel profondo di Kiyoaki lo rende più zotico di quel che potrebbe essere un rozzo campagnolo a cui anche solo l'aspirazione di un'interiorità non fosse mai concessa, quest'ultimo avendo il meschino privilegio di vivere subordinato solo alla propria pancia, come una mucca ruminante. E se per entrambi gli orizzonti non sono limpidi, vale a dire la maggior parte delle cose non sono in grado di scorgerle e il poco che vedono, non lo sanno saggiare, essendo troppo isolato come fosse sotto il vetrino di un microscopio, si trovano a non saper valutare le cose e così danno uguale importanza a tutto. E perciò troppa importanza alla cosa singola.

L'atmosfera del romanzo, ambientato qualche anno dopo il termine della restaurazione Meiji, è intrisa di segretezza e furtività, proprie di chi vuole trasgredire in una società gerarchica attenta ai costumi e alle tradizioni. Ma le barriere sociali non sono mai vissute come oppressione, anzi talvolta è proprio la limitatezza delle possibilità che permette agli scenari più intimi di essere alleggeriti e trascinati oltre la volgarità dell'idiozia o degli effetti collaterali di una personalità ancora non sviluppata, portandoli a lambire la volta celeste della purezza. L'epoca con una forma così marcata viene considerata dagli occhi nostri come una falsa convenzione, un travestimento, e viene perciò, se non odiata, almeno non amata; ma questo è l'ambiente perfetto per il prosperare di dinamiche di potere a noi estranee, che sono anch'esse parte integrante della trama e scavano inversioni e colpi di scena che noi non potremmo contemplare.

Il romanzo si adagia in equilibrio sopra queste grandi dualità della civiltà: ciò che è interiore e ciò che al di fuori, ciò che è lecito e ciò che non lo è, e gioca con astuzia sul sentimento autentico di un giovane uomo che ancora deve trovare spazio per la propria consapevolezza, attraverso la negazione della passione, la primavera dell'amore, la carnalità segreta con una donna promessa a un altro e con essa le brutalità che il segreto richiede, per terminare nella risoluzione pacifica di qualcosa che avrebbe potuto segnare un dolore ancora più grande. La morte da un lato e l'ascesi religiosa dall'altro.

Simone Sala